La rifà nei temi del tempo (le leggi razziali che in quegli anni iniziarono a discriminare gli ebrei con imposizioni e soprusi soprattutto tragici, ma certo anche grotteschi), e lo rifà nello spazio: ambientando, all'interno della Storia con la maiuscola, in un'unica strada di un quartiere qualunque la sua vicenduola di due commercianti che si strappano a vicenda la clientela con tutta una serie di sotterfugi più o meno sleali. Salvo rispettando - ed ecco la differenza fra le due storie, quelle dei piccoli e quelle gestite dai grandi - la dignità e la libertà del prossimo, l'umanità ed il concetto di amicizia, o di amore, che finisce per legarci al prossimo.

Non è, non può essere, quello di CONCORRENZA SLEALE, cinema nuovo. Ma non è nemmeno, quello del maestro della mai abbastanza rimpianta commedia all'italiana folclore inutile, ricreazione scenografica fine a se stessa. Allora un appartamento, ora una strada; ma la denuncia dell'ipocrisia, lo sdegno nei confronti della violenza ignobile è rimasto lo stesso. Nobilitato dalla serena padronanza di un mestiere, che in quel microcosmo di quotidianità nel quale giungono gli echi, sempre più pressanti della tragedia imminente è capace di creare un'architettura di sentimenti e quindi di significati. Cosi, progressivamente, alla leggerezza ed alla grazia con la quale sono annotate tanti piccoli segni dell'epoca, si sostituisce la malinconia, ed infine l'angoscia del creatore maturo.